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Un articolo di Andrea Ricci, Socio VDS Aero Club Fano

Ci sono giorni che iniziano come tanti altri ma che il destino ha già segnato sul calendario di tutta una vita. Il 16 maggio 2022, per me, è stato uno di quei giorni.

Al lavoro mi aspettava il turno di pomeriggio, così la mattinata era libera, libera per volare. L’accordo era preso con Lucio, istruttore di infinita pazienza e altrettanta esperienza sui voli di linea (lo trovate nella nostra pagina degli istruttori, qui), un tipo che ispira sicurezza solo a guardarlo.

Arrivo all’Aero Club Fano verso le 9:30. Lucio è già lì, col suo ghigno solito e con una puntualità che farebbe invidia a un orologio svizzero. Noto che ha con sé una radio aeronautica portatile. Un dettaglio insolito. “Brutto segno”, penso tra me e me con un filo di ironia, senza immaginare quanto quel piccolo oggetto avrebbe definito la giornata.

Dopo un succinto briefing, ci avviamo verso il nostro Pioneer 200. La routine prende il sopravvento: controlli pre-volo, il walk around che è una danza di gesti mille volte provati (NdR: licenza poetica …).

A bordo, allaccio le cinture, collego i jack delle cuffie e mi immergo nella checklist. L’aria fresca di quella primavera inoltrata entra dal tettuccio ancora aperto ma la mia mente è già proiettata sul volo. Strumenti motore, pressione dell’olio, carica dell’alternatore: tutto nella norma. Avionica, radio, transponder su 7000, il codice generico del volo a vista, il VFR. Il motore Rotax si scalda pigro a 2200 giri/min, un suono familiare e rassicurante. È una mattina tranquilla, il cielo è il solito, quello di sempre.

“Fano Radio, India 8526 dal parcheggio rulla al punto attesa 05”.

L’aereo si muove. Prova freni, piede destro sul timone, e via verso il punto attesa della pista 05. Mentre rulliamo, un paio di accostate dolci per controllare gli strumenti giroscopici. Arrivati, attendiamo che le temperature entrino nell’arco verde per la prova motore: 4000 giri, controllo magneti, tutto perfetto. Stringo le cinture un’ultima volta. Sono pronto e Lucio seduto di lato mi fa segno di procedere.

“Fano radio, India 8526 allinea e decolla 05, a destra dopo, riporterà sottovento”.

Manetta avanti, tutta la potenza. I 5300 giri del Rotax spingono forte, il piede destro compensa l’imbardata dell’elica. L’anemometro prende vita e a 60 km/h tiro dolcemente la barra a me. Il Pioneer galleggia per un istante sull’erba e poi, con una leggerezza che ha ogni volta dell’incredibile, siamo in volo. Sento l’aereo cucito addosso, un’estensione del mio corpo.

Cerco subito la velocità di massima efficienza, 110 km/h. Il variometro è positivo, saliamo. La vista che si apre decollando dalla pista 05 è uno spettacolo che non stanca mai: il blu intenso del mare Adriatico, con i primi ombrelloni che punteggiano le spiagge, annunciando un’estate ormai alle porte.

Il circuito si svolge come da manuale. Virata in contro-base, poi in sottovento. “Fano radio, India 8526 sottovento destro 05, riporterà in finale”. Inizio la configurazione per l’atterraggio, tolgo motore, flap, luci di atterraggio. In finale, l’erba della pista scorre veloce sotto di noi. Richiamata, flare, un tocco morbido e poi un touch & go da manuale. Subito motore dentro e di nuovo in volo per un altro circuito, identico al primo.

E però, questa volta, all’atterraggio, Lucio mi comunica: “full stop”.

“Come? Già finito per oggi?” chiedo, un po’ deluso.

È in quel momento che capisco il motivo della radio portatile. Lucio mi guarda, il suo sorriso da gatto di Alice sotto le cuffie, e pronuncia le parole che ogni allievo pilota attende ma teme allo stesso tempo: “Adesso vai su da solo. Devi fare esattamente le stesse cose che hai appena fatto”.

Il mondo si ferma.

La tranquillità di un istante prima evapora, sostituita da un battito sordo che mi sale dritto in gola. Lucio, con la calma di chi ha visto la stessa scena tante volte, mi rassicura: “Hai fatto tutto alla perfezione, puoi farlo”.

Sulle mie spalle compaiono l’angelo della coscienza prudente e il diavolo dell’ambizione. Il primo mi sussurra di rimandare, di chiedere di farlo chissà, forse la prossima volta o quella dopo ancora. Il secondo, con una voce ben più tonitruante, mi ricorda che questo è il sogno che ho fin da bambino, e basta rimandare! Beh, insomma, lo avrete già indovinato … scelgo di ascoltare il diavolaccio!

Ma un attimo, un passo indietro, stiamo ancora arrivando al parcheggio: spengo il motore, apriamo il tettuccio, Lucio scende. Il suo gesto è semplice, ma per me segna un confine. Richiudo il tettuccio, la calma esteriore che maschera il tremito interiore. Prova radio con lui a terra: “Mi ricevi?” “Forte e chiaro, 5 su 5”.

Ricomincio la sequenza da zero, ma non è più la stessa cosa. Mentre rullo di nuovo verso la pista, mi accorgo che le mie mani tremano. I fogli della checklist vibrano, quasi a tradire l’emozione. Eseguo ogni controllo con una concentrazione quasi feroce. Prova motore, checklist pre-decollo, tutto. Mi allineo in testata pista.

Guardo alla mia destra. Il sedile è vuoto. Inesorabilmente vuoto.

La mano e la voce dell’istruttore, fino a un attimo prima pronte a correggere ogni minima sbavatura, non ci sono.

Siamo solo io e l’aereo.

Un ultimo respiro profondo.

Tutto motore.

La mano sinistra stringe la barra, la destra è sulla manetta.

Senza il peso dell’istruttore, l’accelerazione è bruciante.

L’aereo si invola quasi subito.

Un’occhiata al variometro, positivo.

Uno sguardo alle temperature, stabili.

E in quell’istante, accade la magia.

La paura, il timore di non farcela, il cuore in gola… tutto svanito. Dissolto nell’aria limpida di maggio. Resta una calma profonda, la lucidità di chi sa esattamente cosa fare. Il circuito, fatto mille volte (NdR: seconda licenza poetica, si tratta di quello che già in antica Grecia era chiamato “iperbole” – per chi volesse conseguire l’attestato VDS, come Andrea in questo articolo, una decina di voli bastano) con Lucio al fianco, ora lo eseguo in un silenzio quasi surreale, rotto solo dalla mia voce alla radio e dal motore. È perfetto. L’atterraggio è morbido, quasi una carezza.

Rullo verso il parcheggio, dove Lucio mi aspetta. Spengo il motore e un silenzio denso di significato riempie l’abitacolo. Scendo dall’aereo. La stretta di mano di Lucio è netta, sincera. Poi, come da tradizione, arriva un bel calcio nel sedere e subito dopo … il battesimo dell’acqua. Non una secchiata, che sarebbe la regola in ogni stagione, ma direttamente il tubo per una doccia vestita, liberatoria e indimenticabile.

(NdR: Purtroppo Steven Spielberg quel giorno ci ha detto che era impegnato, dunque le riprese non sono esattamente il meglio che Andrea si sarebbe meritato, accontentiamoci)

Foto di rito, caffè al bar dell’aeroporto per festeggiare – ma il tempo stringe. Devo correre al lavoro. Mezz’ora dopo, mentre guido in autostrada, sento gli occhi diventare lucidi. Non è tristezza, è la coda lunga di un’emozione pura, di quelle che solo un momento così totalizzante sa generare.

So che tra i miei amici ci sono piloti militari, di linea e sportivi. E so per certo che ciascuno di loro ricorda, con la stessa vividezza, il primo volo da solista. E non importa quale sarà la rotta futura; quel giorno, quel volo, resta. È il momento in cui, per la prima volta, hai spiegato le ali e hai scoperto di saper volare.

Da solo.

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