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Luogo: Oceano Indiano 
Velivolo: B-767/300ER 
Compagnia: Lauda Air Italia 
Data (Astrale): 4.6.02002 

Arrivati a Malé in una domenica pomeriggio, il volo di ritorno era programmato per due giorni dopo. 

La negativa congiunzione astrale del martedì (dato che almeno io ero già sposato) restava sospesa solo sulla partenza ma, nella razionale indole del pilota, la superstizione non è prevista per cui martedì mattina, sveglia un’ora prima del previsto per un ultimo bagno nelle acque del reef, a pochi passi dal bungalow e poi la solita routine di preparazione per la partenza. 

Il volo è un sub-charter per conto di EuroFly (“neurofly” … per gli amici) che ci era stato commissionato per un problema al loro aereo e, dato che il servizio di bordo non sarebbe stato secondo lo standard Lauda Air, due hostess dell’altra compagnia avrebbero coadiuvato il nostro equipaggio nel servizio di bordo. 

Vestiti di tutto punto andiamo al molo dell’isola. Siamo in tanti oggi, 2 piloti, 10 hostess e steward più le 2 hostess EuroFly (“ospiti”), 14 in tutto. 
A bordo non ci sono postazioni per così tanti assistenti di volo e qualcuno dovrà accomodarsi con noi in cabina di pilotaggio (cockpit), nei 2 sedili disponibili per eventuali altri piloti. 
Dopo mezzora di motoscafo veloce arriviamo in aeroporto, controlliamo i documenti di volo e, completato il briefing a tutto l’equipaggio, andiamo all’Alfa-Tango (OE-LAT) appena arrivato da Malpensa con un carico di pallidi vacanzieri già sbarcati e sulla via della loro isola. 
Sull’aereo incontriamo l’equipaggio appena arrivato e fatte due chiacchiere per il consueto “passaggio di consegne” e dopo averli salutati, iniziamo le operazioni di preparazione per il nostro volo di ritorno. 

Terminato il rifornimento di carburante, eseguiti i controlli esterni e la cabina pax pulita e pronta, iniziamo l’imbarco: 260 milanesi abbronzati di ritorno verso casa. 
I nostri assistenti di volo, responsabili per la sicurezza a bordo, avrebbero occupato i posti previsti in cabina passeggeri, mentre le due “ospiti” avrebbero occupato i due sedili extra in cockpit. 

Chiuse le porte e messo in moto, otteniamo l’autorizzazione al rullaggio per pista 36. A quei tempi non c’era ancora la via parallela per raggiungere il punto di decollo e si doveva utilizzare la pista come via di rullaggio entrando a circa metà, percorrerla contromano fino in fondo per poi girarsi e decollare con tutta la pista disponibile davanti. 
Pronti al “push back”, ci spingono all’indietro con un piccolo trattore, mettiamo in moto e, salutato il tecnico in collegamento con noi via cavo, ci muoviamo ed entriamo in pista. 
Dal prato accanto alla pista i soliti aironi e gabbiani, fermi e immobili, ci tengono d’occhio durante tutto il percorso, mentre un po’ più in là gli idrovolanti, fra uno spruzzo e l’altro, vanno e vengono per portare i passeggeri nelle isole più lontane, fino anche a 150km da Malé. 
Due parole con le hostess in cockpit e un veloce ripasso delle procedure in caso di emergenza in decollo e siamo a fondo pista, ci giriamo e con il muso verso nord aspettiamo il via dalla Torre di controllo. 
D’ora in poi entra in vigore il “silent cockpit” cioè niente più discorsi futili ma si parla solo per cose strettamente legate alle procedure di volo e alla sicurezza. 

Checklist completato e autorizzati al decollo, porto le manette dei due Pratt & Whitney in avanti e i 60.000 kg di spinta iniziano ad accelerare le 187 tonnellate del nostro Boeing pieno a tappo. 
I numeri calcolati per il nostro peso, in base al vento, pressione e temperatura dicono: V1=165kts; Vr=175kts; V2=190kts. 
Queste velocità sono dei riferimenti importanti e ci dicono che, raggiunta la V1 (305 km/h), in caso di emergenza non sarà più possibile abortire il decollo perché non resterebbe pista sufficiente per fermarsi, si dovrà quindi continuare il decollo e risolvere gli eventuali problemi in volo; raggiunta la Vr (325 km/h) si potrà iniziare la rotazione del muso per decollare, e la V2 (352 km/h) sarà la velocità minima da mantenere nel caso che un motore vada in avaria dopo la V1, garantendoci di continuare a volare e salire con il restante motore. 

Rilasciati i freni inizia l’accelerazione, un’occhiata veloce agli strumenti che sia tutto normale, nessuna spia accesa e guardo fuori mentre Marco, il Primo Ufficiale, tiene d’occhio gli strumenti motore e l’anemometro per chiamarmi le tre velocità nel momento preciso in cui le raggiungeremo. 

Trenta secondi dopo stiamo già correndo sulla pista a 300 km/h quando vedo, davanti a noi a circa 200 mt, sul prato, un bel esemplare di Airone Cenerino fare i primi passi per prendere la rincorsa, con la chiara intenzione di decollare, peccato solo che stia puntando la pista e noi stiamo arr…. “V1” dice Marco! Continuo il decollo e riesco a dirgli solo “Un AIRONE IN PISTA!!!” mentre inizio a tirare il volantino verso di me per anticipare il decollo e passarci sopra quando attraverserà la pista, non siamo ancora alla velocità di “rotazione”, ma manca poco. 

Ci siamo, il muso è già in volo e anche il resto dell’aereo sta per lasciare la pista, l’airone scompare sotto di noi e… TUMPF! un colpo sordo sotto i piedi: “Preso!” … riduco un po’ l’angolo di salita, nessun allarme sonoro.. nessuna spia accesa…i motori girano…buon segno e non passa molto quando Marco chiama: “V2 – Rateo di salita positivo” che significa tirare su il carrello, forse l’abbiamo scampata, avrà sbattuto sotto la fusoliera senza fare grossi danni e dico a Marco “Su il carrello” e poco dopo “Flap Zero”. 
Il fluido idraulico, spinto a 200 atmosfere nei circuiti del carrello e flaps, farà rientrare le ruote in fusoliera e i flaps rientreranno in linea con il resto dell’ala. 
Ma non passano cinque secondi che Marco annuncia “Bassa Pressione Idraulico Blu”, le leve del carrello e flaps sono posizionate entrambe in posizione SU e nel pannello sopra le nostre teste iniziano ad accendersi una serie di spie, prima gialle e poi rosse, mentre sul pannello centrale delle avarie compare un bel “albero di natale” fatto di luci colorate, scritte con suggerimenti, altre più perentorie ci dicono cosa NON fare e diversi allarmi sonori riempiono la cabina…. Calma!! 

L’aereo ha tre sistemi idraulici indipendenti: Verde, Blu e Giallo (rispettivamente sinistro, centrale e destro), ciascuno assolve diversi compiti e il sistema centrale serve per azionare il carrello e i flaps (oltre ad altri sistemi). 

Il carrello è rimasto giù, non è rientrato, mantre i flaps risultano retratti. Sul pannello superiore si sono accese le spie di bassa pressione e poco dopo anche quella di basso livello del fluido idraulico nel sistema centrale, l’indicatore di quantità scende costantemente e in pochissimo tempo arriva a zero. 

Chiedo a Marco di leggere il checklist per quel tipo di avaria e una volta eseguite le azioni più urgenti e messo in sicurezza l’aereo (almeno momentaneamente), avvisiamo la Torre di Controllo del nostro problema. Ci serve un po’ di tempo per analizzare bene la situazione e abbiamo fermato la salita a 6000 ft (2.000mt circa). 
Faremo sapere le nostre intenzioni quando saremo pronti. 

All’inizio di ogni avaria, specialmente di una certa gravità, si accendono diverse spie, suonano campanelli d’allarme e delle luci intermittenti attirano l’attenzione su certi componenti di bordo che urgono un’azione immediata ma, via via che si effettuano le azioni previste, alcune spie si spengono, gli allarmi smettono di suonare e restano solo gli avvisi principali per ricordarci la situazione in cui ci troviamo. 

Quasi tutti gli aerei hanno sistemi alternativi per abbassare il carrello, ma non ci sono sistemi alternativi per farlo rientrare… e c’è un perché. Atterrare senza carrello si rischia di farsi male, quindi è necessario che ci sia un modo alternativo per abbassarlo, di solito è la gravità stessa. Con il sistema elettrico alternato si sganciano i portelli dove è alloggiato e il suo stesso peso lo farà scendere nella giusta posizione. 
Se invece non si retrae, come nel nostro caso, poco male. Non è una situazione pericolosa però, con tutta la resistenza aerodinamica che genera, non è possibile accelerare alla velocità di crociera e non si può salire oltre una certa quota, quindi il carburante, calcolato per un volo normale, non basterebbe per arrivare a destinazione. 
Le opzioni in questi casi sono due, o si torna da dove si è partiti, oppure si va in un vicino aeroporto dove ci sia la possibilità di sistemare i passeggeri per una sosta non pianificata e riparare il danno. 
Le Maldive, specialmente durante l’alta stagione, hanno una particolarità…. sono tanti atolli ciascuno con tante isolette, ognuna ha il suo villaggio turistico e gli ospiti che partono liberano il posto per quelli che arrivano. 
Se per un qualsiasi motivo l’aereo di un gruppo non parte, questi non saprebbero dove andare perché i loro posti sono già stati occupati da quelli appena arrivati e ci sono poche possibilità di trovare posto in un’altra isola o in altre strutture libere. Semplicemente non c’è posto per tutti… e diventa complicato. 
Nel nostro caso la “terra ferma” più vicina è a 7-800km (India o Sri Lanka) e non sarebbe molto saggio volare per 2-3 ore in mezzo all’oceano, con delle avarie importanti a bordo, senza sapere se ci siano altri danni alla struttura e con i pescecani sotto… all’ora di pranzo. 

Analisi: 
– il carrello è giù e bloccato, possiamo quindi atterrare normalmente. 
– I flaps sono rientrati, probabilmente con la pressione idraulica residua e c’è un sistema elettrico alternato per abbassarli in posizione d’atterraggio… però è lento, s’impiegano 2 minuti per abbassarli fino in fondo. 

Siamo anche sopra il peso massimo consentito per l’atterraggio e dobbiamo alleggerire l’aereo prima di tornare a Malé. Abbiamo tempo e in caso di necessità l’aeroporto è poco lontano, chiediamo quindi di orbitare in un’area del mare dove poter preparare l’aereo e la cabina passeggeri prima dell’atterraggio. 

Solo a questo punto mi viene in mente che abbiamo due ragazze sedute dietro di noi e che non hanno profferito parola. Le tranquillizzo dicendo che è tutto sotto controllo e non è così grave come sembra. Immagino però la loro ansia quando hanno sentito il colpo, sentito gli allarmi, le luci che si accendevano, noi che ci davamo da fare per risolvere una “gravissima” avaria e la concitazione nelle comunicazioni radio fra noi e il controllo a terra che ogni tanto ci incalzava sulla situazione. Ammetto che, non sapendo cosa succede, mi sarei preoccupato anch’io, invece sono state disciplinate e senza crisi di panico…. a parte un po’ di pallore che ben risaltava sulle loro divise verdi, bravissime!! 
Chiamo Laura, la Capo cabina, per informarla su cosa è successo e per precauzione le dico di preparare la cabina per un atterraggio di emergenza, farò anche un annuncio per informare e tranquillizzare i passeggeri, probabilmente preoccupati dal trambusto e per il fatto che abbiamo smesso di salire… 

Per atterrare sotto il peso massimo consentito dobbiamo alleggerire l’aereo di circa 20 tonnellate e scaricare il carburante è l’unica opzione disponibile (dimenticatevi i film dove si getta tutto fuori per diminuire il peso… non siamo su una mongolfiera). 
Oltretutto non c’è molto da buttare da un aereo passeggeri. 
Aprire una porta in volo è già di per se rischioso e buttare qualcosa fuori potrebbe andare a sbattere su un’ala o la coda, facendo più danno che guadagno; inoltre, potendo anche liberarsi del bagaglio a mano, dei carrelli del catering, acqua, liquori e caramelle, si arriverebbe forse a 4-5 tonnellate…e le altre 15? 
Per questo c’è un sistema di scarico rapido del carburante…. chi li sentirebbe altrimenti i passeggeri con tutti i loro bagagli sparsi per gli atolli maldiviani. 

Per arrivare a Malpensa abbiamo imbarcato 65 tonnellate di carburante e con la pressione in eccesso delle pompe di benzina, quelle che assicurano l’alimentazione ai motori, aprendo le valvole sul bordo d’uscita dell’ala si possono espellere 25mila litri di carburante in 15-20minuti. 
Iniziamo quindi subito la procedura di “fuel damping”, evitando di sorvolare le numerose isolette sparse tutte intorno (non è molto ecologico, ma non possiamo fare altro), la benzina espulsa nebulizza e si disperde. 

Non sappiamo se l’airone (pace all’anima sua) abbia causato altri danni, magari a uno dei motori, danni che si potrebbero manifestare più tardi. Per i flaps dobbiamo pensarci bene, fanno molta resistenza e, nel caso perdessimo uno dei motori, non avremmo abbastanza potenza per restare in volo con il carrello esteso e i flaps tutti abbassati. 

Proseguendo con le procedure previste, determiniamo che la velocità da mantenere in atterraggio è di 280km/h, abbassando i flaps in posizione 20*, anziché 25* o 30*. 

Abbiamo 3 Km di pista a disposizione, l’emergenza che abbiamo comunicato ci da precedenza su tutti gli altri traffici, l’aereo non sembra aver subito danni strutturali e abbiamo un carrello che sembra a posto. Siamo però al peso massimo consentito per l’atterraggio e senza i flaps in posizione tutti giù, la velocità sarà più alta e gli inversori di spinta dei motori non basteranno a fermarci, dovremo usare parecchio i freni alle ruote, che sicuramente si surriscalderanno fino a causare lo sgonfiamento o lo scoppio di diversi pneumatici. In questo caso l’aereo resterebbe bloccato in pista, con tutto quel che ne consegue per gli altri aerei che devono ancora atterrare. 

Siamo pronti, cabina a posto, procedure terminate e briefing completato. 
Di comune accordo con Marco, arriveremo con i flaps a 20* fino a 2 miglia dalla pista e, se non interverranno problemi ai motori e saremo nella giusta posizione (stabilizzati) per l’atterraggio, chiamerò che di abbassare i flaps a 30*. In questo modo potremo ridurre la velocità di atterraggio di quei 40-50 km/h e non surriscaldare i freni al punto di un impedirci di liberare la pista. 

 

Tutto avviene nel migliore dei modi, l’atterraggio è solo un po’ più veloce del normale per via del peso e, con i flaps tutti abbassati, abbiamo potuto usare i freni in modo parsimonioso facendoli restare entro una temperatura “decente”. 
Liberata la pista e avute le istruzioni per raggiungere un’area di parcheggio isolata, comunichiamo ai passeggeri che potranno scendere e attendere in aeroporto, li terremo aggiornati se ci sarà la possibilità di riparare il guasto. 
Diversi tecnici e ingegneri ci stanno già aspettando e raggiunto il parcheggio, quello che si collega con noi per darci l’OK allo spegnimento, c’informa che pezzi di un volatile sono incastrati nel ruotino anteriore e ci sono macchie di sangue sotto la fusoliera. 
Da Laura, quando ci ha detto che la cabina era pronta per l’atterraggio, avevo saputo che si erano levate diverse proteste fra i passeggeri per il fatto che stavamo tornando indietro… che avremmo dovuto continuare… dovevano tornare a casa… li stavano aspettando… dovevano tornare al lavoro…ecc ecc. Della propria vita sembravano non essere interessati e non ho potuto fare a meno di invitarli, scendendo dalla scaletta, a dare un’occhiata sotto il muso dell’aereo e al gruppo di tecnici che stavano ripulendo l’aereo dai resti del volatile. 

In pratica l’airone, investito dalla gamba delle ruote anteriori a oltre 300 km/h, aveva tranciato di netto la linea del sistema idraulico centrale, una zampa era rimasta incastrata fra la fusoliera e la paratia che chiude il vano carrello dopo la retrazione e restavano solo qualche altra penna e una scia di sangue lungo la pancia dell’aereo. 

 

Senza il giusto pezzo di ricambio sarebbe stata una cosa lunga, ma fortunatamente in magazzino avevano un tubo certificato e compatibile che si poteva adattare al nostro fabbisogno e così, dopo appena 5 ore dall’inconveniente, eravamo già in volo verso Malpensa, passeggeri tranquilli, equipaggio tranquillo, le due “ospiti” tranquille e noi tranquilli (ma sempre all’erta). 

E abbiamo la prova che anche di “Marte” si può partire! 

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