È il 31 luglio 1944, Saint-Ex parte per una missione nei cieli del Mediterraneo, l’ultima. A bordo del suo Lightning P 38 F5 B n° 233 vedrà (o forse gli sembrerà di vedere) il Piccolo Principe, che gli parla da una nuvola.
Ottantuno anni fa spariva nell’ignoto uno degli autori più mitizzati, letti e identificati con ciò che hanno scritto – uno che non pensava nemmeno di essere uno scrittore. Abbiamo voluto ricordarlo un anno dopo l’anniversario degli ottant’anni, così da essere distanti dal rumore delle commemorazioni.
“Posso salvarmi solo coi miei aerei, non odiarli”, dice un giorno Antoine de Saint Exupéry alla moglie Consuelo Suncín Sandoval fresco di premio letterario per “Volo di notte” mentre chiudeva la porta a una mondanissima vita parigina che non era mai per davvero riuscito a sopportare. La sua vita si svolgeva infatti a casa d’altri, tra feste, ricevimenti, balli. Gli effetti della notorietà e del successo crescevano: sconosciute cugine di vari e dispersivi gradi si facevano vive all’improvviso pretendendo qualcosa, un team di produttori americani lavorava a un film tratto dal suo romanzo, e intanto lui faceva avanti e indietro da Tolosa per mettere a punto un prototipo di aereo che, fino a quel momento, vantava la sola gloriosa caratteristica di essere sempre in panne.
Fisico da marcantonio e nessuna cognizione della propria statura, del proprio peso e del proprio ingombro, Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-exupéry, terzogenito del visconte Jean de Saint-exupéry – il quale morì nella sala d’aspetto di una stazione ferroviaria quando il figlio aveva quattro anni – e della pittrice e acquerellista Marie Boyer de Fonscolombe, visse un’infanzia dorata nel castello di una zia a Saint-Maurice, vicino a Le Mans. Grandi sale, parquet liscio come un vassoio, e una biblioteca che, coi suoi mobili signorili e i feltri rossi, sembrava uscita da una favola.
Fece il primo volo a undici anni, disobbedendo alla madre; l’ultimo lo fece a quarantaquattro anni, ottantuno anni fa, durante la nona e ultima missione di ricognizione che gli fu affidata: venne abbattuto da un caccia tedesco tra la Corsica da cui era partito e Lione, dove non atterrò mai. La vicenda restò a lungo un mistero e il suo corpo non venne mai ritrovato. La sparizione nei cieli del poeta delle stelle, delle volpi addomesticabili e dei principi venuti da pianeti lontani generò discussioni poetico-visionarie sul suo destino, immaginari di vite ulteriori, leggende. Nel 2008 l’ex pilota della Luftwaffe Horst Rippert, metà degli anni di colui a cui stava dando la caccia, confessò di essere responsabile di quell’abbattimento – ma poco o nulla è cambiato: Antoine de Saint Exupéry resta il mito.
Fu varatore di linee aeropostali, pioniere del volo, e pur non essendo un aviatore di rango riuscì a farsi affidare delle missioni in tempo di guerra. Innegabile la generosità e l’autenticità della sua propensione, e del resto anche le pagine della moglie Consuelo raccontano di come privilegiò l’azione rispetto alla mediazione, di come il volo, per lui, venisse indubbiamente prima della scrittura. Anche per questo, i detrattori restano moltissimi e, per primo, lui stesso.

“Il Piccolo principe” è uno dei libri più letti al mondo e tra i dieci più venduti di sempre, per un totale di duecento milioni di copie vendute e quattrocentotrentaquattro lingue di traduzione. Sembra che si debba alla moglie del suo editore americano il fatto che Saint-Ex ne scrisse la storia: riuscì a convincerlo dopo aver sbirciato tra i numerosi disegni che Antoine si portava dietro e cui si dedicava anche in volo. Il libro è, in fondo, esattamente questo. Una specie di romanzo a vignette.
Scrittore vero o scrittore fasullo? Senza dubbio un inesauribile scrittore di lettere, in particolare alla madre. Ma scriveva molto anche alle numerose donne di cui si innamorava, alle quali spesso spediva i medesimi testi che avevano già colto successi in precedenza, tutti traboccanti di promesse di viaggi in Cina, di trasvolate notturne fino a remoti villaggetti africani in cui vivere felici per sempre, e corredati dall’immancabile catalogo dei rischi corsi in settimana, buttati lì con la nonchalance di chi le ha viste tutte.
Ma era davvero così: gli capitarono numerosissimi incidenti e ricoveri, non privi di conseguenze fisiche. Il più grave nel deserto, quando, nel 1936, per racimolare qualche soldo partì col meccanico Prévot con l’intenzione di battere il record Parigi-saigon, e l’aereo precipitò – tre giorni di vagabondaggio, fame e allucinazioni raccontati con vividezza terribile in “Terra degli uomini” e vera origine del Piccolo Principe – furono salvati per miracolo da un arabo dopo giorni di marcia nel deserto.
Per chiederne la mano mandò alla futura moglie, conosciuta da poche ore, una lettera di cento pagine. Poi saltò fuori che si trattava del manoscritto, qua e là camuffato, di “Volo di notte”.
Oltre alle innumerevoli bugie, anche i denari furono un capitolo piuttosto bigio di una storia d’amore che ebbe moltissimi bassi e qualche altissimo – ma si trattava, in gran parte, di acrobazie di recupero, Saint-ex era un genio del beau geste ma anche un annoiato cronico e un mancatore di continuità. Mentre lui volava, la moglie Consuelo rimaneva a terra sconvolta, piangente, vittima di umilianti trafile: hotel scalcagnati, pigioni non pagate, traslochi notturni – o sborsare o mangiare.
Così, inevitabilmente, il suo “Mémoires de la rose” è anche un catalogo di efferatezze emotive e dalle cui pagine emerge quanto fosse un uomo capace di sentire esclusivamente sé stesso. Lei – “bruna, minuta, selvaggia, dagli occhi stregati” – non era però meno irrequieta di lui. Non male il suo curriculum: figlia di ricchi proprietari terrieri, intima di surrealisti e dadaisti, vedova di Enrique Gómez Carrillo, prolifico e noto scrittore guatemalteco e console a Parigi con cui vivrà solo un anno di matrimonio al centro di amicizie intellettualmente altolocate.
Sposerà Saint-Ex vestita in pizzo nero e benedetta da un abate dopo averlo conosciuto nell’hotel che ospitava i salotti degli Amigos de l’arte di Buenos Aires e dopo aver sopportato che per tutta la sera la supplicasse in ginocchio (letteralmente accucciato davanti alla poltrona su cui era seduta) gli concesse il primo bacio in volo, trascinata da lui, che si definì “il capo” dell’aeropostale, a vedere il tramonto sul Rio de la Plata. Intanto, gli amici, accomodati sui sedili posteriori della carlinga, vomitavano in coro.
“Tonio a volte,” scrive Consuelo nella sua autobiografia, “mi sembrava un attore che non aveva mai letto la sua parte e si trovava scagliato sulle scene per recitare una commedia interminabile in cui tutti sapevano il proprio testo tranne lui, costretto a improvvisare”.
Nell’ultima lettera che le mandò, datata giugno 1944, Saint-Ex le confidava: “Se mi accadesse una qualche disgrazia, non avercela con me per le scelte che ho fatto. Sono l’unico pilota vecchio a far la guerra su un aereo così tanto veloce. Per adesso reggo il colpo ma Dio potrebbe farmi lo sgambetto”.
Né austero né sobrio nella vita, Saint-Ex ha generato qualcosa che non sembra destinato a spegnersi. E’ sorprendente scorrere le recensioni dei lettori: inscalfibile e unanime il consenso, a Alghero gli hanno dedicato un museo ospitato nell’area marina protetta Capo Caccia. Il Museo de l’air et de l’espace presso l’aeroporto Paris Le Bourget gli ha dedicato una mostra in occasione dell’ottantesimo anniversario della sua scomparsa. L’aeroporto di Lione è stato dedicato a lui. Le mostre sul Piccolo Principe e le riedizioni sembrano non avere mai fine.
La vicenda umana dello scrittore ispirò Hugo Pratt che, ne “L’Ultimo Volo”, immagina una storia sdoppiata, la prima è quella che segue il suo ultimo volo mentre viene inseguito dai caccia dell’aviazione tedesca, l’altra è quella in cui rivive i momenti fondanti della sua vita. Gli tornano così alla mente ricordi lontani, di quando volava per la Compagnie Aéreopostale argentina, i balli eleganti a Buenos Aires, l’esperienza vissuta con il suo meccanico Prévot dopo che il suo aereo si era fracassato al suolo nel deserto libico. Dopodiché Saint-Ex entra nel suo stesso sogno, cammina su nuvole che sembrano fatte di cotone fino a una cabina telefonica dalla quale chiama i suoi amici letterati Leon Werth (la famosa dedica del Piccolo Principe è per lui), Gide, la moglie Consuelo, per un ultimo addio. Intanto, il caccia tedesco di Horst Rippert gli si è fatto sempre più vicino.
E’ morto ubriaco di ossigeno, o di carenza di ossigeno, forse di stanchezza? In fondo cosa voleva? Voleva sparire? Il fatto è che è sparito veramente in una forma per così dire letteraria, romantica. Meglio così, che un uomo che decide di sparire o è sparito, non sia più ritrovato: diventa un fatto leggendario e diventa un mito per le generazioni future. Così scrive Hugo Pratt a un amico.
Un mese dopo il suo ultimo volo, sul diario della squadriglia 2/33 verrà annotato: “31 luglio 1944, ore 14.30. Non c’è più alcuna speranza che sia ancora in volo”.
